Tu chiamale se vuoi… Emozioni

Insegnare ai bambini fin da piccoli a riconoscere le EMOZIONI, dando loro un NOME e un SIGNIFICATO, è importantissimo per imparare a gestirle e modularle fino all’ età adulta.

Mia figlia di 3 anni dopo un mese dall’arrivo della sorellina mostrava spesso momenti di tensione. Una sera, dopo uno scatto d’ira, le ho chiesto se fosse arrabbiata perché dedicavo del tempo anche alla sorellina (che in quel momento era in braccio a me) e mi ha risposto: “voglio che torni nella pancia”.

Ebbene, quello è stato un momento estremamente importante perché è riuscita a verbalizzare un’emozione rispettabile e comprensibile come la rabbia, rabbia per una bambina che da circa un mese le stava rubando una parte delle attenzioni dei suoi genitori. La gelosia poi è strettamente collegata alla rabbia.

La VERBALIZZAZIONE delle emozioni è alla base della loro ELABORAZIONE, il significato che è stato attribuito alla rabbia provata è servito per COMPRENDERLA meglio. La RASSICURAZIONE successiva sull’amore per entrambe le bambine e la condivisione del ricordo di quando mia figlia era piccola e dei momenti passati con lei ad allattarla, sono state utili a sgonfiare la rabbia e lasciare il posto alla CALMA e ad un lungo abbraccio di famiglia.


Famiglia: SOS dialogo

La famiglia nella nostra società è cambiata negli ultimi decenni. Siamo passati da famiglie con tanti figli, che vivevano insieme a nonni e zii sotto lo stesso tetto o comunque vicini, a famiglie nucleari in cui spesso e volentieri entrambi i genitori devono lavorare per sopravvivere economicamente.

I nonni, quando ci sono, costituiscono degli aiuti importanti, ma non sempre sono a piena disposizione dei nipoti. Alcuni lavorano ancora e hanno un tempo limitato da dedicare, inoltre non spetta a loro il ruolo educativo, quello è compito dei genitori, che talvolta dopo aver lavorato tutto il giorno non riescono a dedicare il giusto tempo ai figli.

Sarebbe auspicabile invece riuscire a dedicare un tempo di qualità, piuttosto che di quantità ai figli, ascoltandoli, confrontandosi, facendo sentire loro la nostra vicinanza con piccoli gesti. Il momento della cena in cui tutta la famiglia si riunisce a tavola, rappresenta un momento conviviale importantissimo in cui scambiarsi informazioni, racconti, emozioni, eppure è facile cadere vittime della televisione o degli smartphone che assorbono tutta la nostra attenzione, distogliendoci dal dialogo.

Una lamentela che mi riportano spesso i genitori di figli adolescenti è il non riuscire a comunicare con loro, visto che spesso e volentieri, parlano poco oppure si chiudono in camera. Dai comportamenti dei figli possiamo cercare di capire cosa sta succedendo, se hanno litigato con un amico o hanno concluso una storia d’amore, a volte non importano tante parole, ma gesti per dimostrare al figlio che babbo e mamma ci sono e ci saranno sempre per sostenerlo. I genitori devono essere dei buoni osservatori e notare i piccoli cambiamenti, cosa molto difficile perché richiede sforzo e attenzione.

Nel caso delle famiglie separate, purtroppo sempre in aumento, la situazione si complica, se poi la separazione è alimentata da conflitti genitoriali che usano i figli per colpirsi a vicenda, i ragazzi si trovano in una situazione ansiogena in cui si sentono manipolati piuttosto che compresi, vittime di una guerra tra adulti che non riescono a fornire punti di riferimenti ai figli. Capita poi che i genitori separati o che non riescono a dedicare tempo ai figli cerchino di ridurre il proprio senso di colpa comprando regali e cercando di rispondere a tutte le richieste materiali del figlio.

Purtroppo la famiglia che non pone i dovuti limiti ai figli, i genitori che non si assumono responsabilità educative, nuclei familiari disgregati e situazioni familiari complesse in cui possono essere presenti anche problemi economici e deprivazione culturale possono spianare la strada a comportamenti aggressivi dei figli, che attraverso la violenza trovano una possibile strada per manifestare il loro disagio.

 


La dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva è una forma patologica di amore caratterizzata da assenza cronica di reciprocità nella vita emotiva, in cui l’individuo che dona amore a senso unico vede nel legame con l’altra persona, spesso problematica o sfuggente, l’unico scopo della propria esistenza e il riempimento dei propri vuoti. Chi soffre di dipendenza affettiva ha difficoltà nel riconoscere i propri bisogni e ha la tendenza a subordinarli ai bisogni dall’altro. Una grande energia vitale viene impiegata nell’amare e nel ricevere amore e approvazione, che spesso non arrivano.

Le persone dipendenti mendicano amore, si immolano, tanto meno vengono amate, tanto più hanno bisogno di sentirsi amate. Sono cresciute con la sensazione di non essere state abbastanza amate dai loro genitori. Questi ultimi hanno avuto un comportamento incostante e incoerente verso il figlio: a volte erano molto presenti ed affettuosi, altre volte freddi e distratti.
Il dipendente affettivo ha un atteggiamento negativo verso di sé, avendo paura dell’abbandono deve essere costantemente rassicurato, è inoltre molto geloso e ossessivo, arrivando ad appesantire il rapporto. Ha la presunzione che prima o poi riuscirà a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarlo nel modo in cui pretende, nonostante questo non riesce ad interrompere la relazione, in virtù del suo “amare troppo l’altro”.

In una relazione sana, solitamente, ci si ferma di fronte ad un rifiuto da parte del partner, nella dipendenza affettiva invece no, si può arrivare anche a comportamenti gravi come lo stalking. Nell’adulto che ha sviluppato un attaccamento sufficientemente sano, l’amore è un processo circolare che arricchisce entrambi i partner, dà inoltre reciproche attenzioni e gratificazioni consentendo ad entrambi di maturare e di accrescere il proprio potenziale umano. L’amore dipendente, invece, mancando di vera intimità, è manipolativo e parassitario, dal momento che la persona cerca una propria conferma nel partner.

In seguito alla fine della relazione, il lutto amoroso inizialmente viene vissuto dal dipendente come inelaborabile. La prima reazione è quella di negare e rifiutare la realtà, poi subentrano sentimenti di ribellione e rabbia, in seguito si comincia a venire a patti con quello che è successo, si prova rimpianto e colpa per qualcosa che avremmo potuto fare o non fare, dopodiché si arriva alla dolorosa accettazione. Questa perdita corrisponde ad una morte, a cui di solito segue una rinascita. Il compito del terapeuta è di accompagnare la persona in questo percorso di morte e rinascita, evitando di farle ripetere gli stessi errori, lavorando sulle sue fragilità, sui sentimenti di ansia e di angoscia e sulla bassa autostima.

 

 


La dipendenza sessuale

La dipendenza sessuale, secondo lo psichiatra Gabbard, non è caratterizzata da una positiva, piacevole e intensa sessualità goduta, anche se ad oggi non esistono criteri scientifici ufficiali e condivisi per identificarla.

Questo tipo di dipendenza si manifesta nei rapporti sessuali, nella masturbazione, nelle fantasie e anche nella programmazione di incontri, ad esempio su siti internet o su chat. Il solo pensiero infatti di dover incontrare una persona o un gruppo per fare sesso, provoca sollievo.

Per il dipendente il sesso rappresenta una fuga illusoria dal disvalore di sé, dal senso di colpa, dalla solitudine, dalla tristezza e da tutti quei vissuti di angoscia che la persona sperimenta e che non riesce a elaborare. Ma il sesso è vissuto anche come una fuga dalla vera intimità e dall’insicurezza riguardo la propria mascolinità e femminilità: le persone cercano il sesso, ma in fondo non si sentono appetibili, hanno una identità estremamente fragile. e talvolta anche lesa. E’ proprio su questa ferita che si deve lavorare in terapia.

La dipendenza sessuale, così come la maggior parte dei disturbi, deriva da più fattori: biologici, ambientali, psicologici, ma anche socio-culturali. Il ruolo della cultura è infatti parte integrante della malattia. La nostra cultura attuale ci ha familiarizzato con il sesso, tutto viene sessualizzato e i mass media usano continuamente rimandi alla sessualità. Oggi viviamo nella cultura della fretta e del tutto e subito, che non ci dà il tempo di elaborare e pensare. C’è fretta per tutto, anche per uscire dal dolore e dall’incertezza, d’altronde la nostra cultura si fonda sulla prestazione e sull’efficienza. Siamo diventati figli di una società del fare piuttosto che di una società dell’essere, Ma la vita non è solo adesso: la vita è passato, presente e futuro e la nostra identità si fonda su tutta questa linea temporale.

In assenza di una definizione scientifica, la dipendenza sessuale viene considerata un disturbo fantomatico, spesso usato non adeguatamente da mass media, film, internet, tv, che sempre più spesso lo spettacolarizzano e lo mettono in mostra quasi fosse una caratteristica positiva, ignorando completamente la sofferenza che sta dietro. La dipendenza sessuale non va osannata o invidiata, merita piuttosto attenzione clinica, poiché il dolore che prova chi ne è affetto è una cosa estremamente seria e importante.


Il fantasma della patologia cronico-invalidante

La comunicazione della diagnosi di una patologia cronica investe la persona e l’intero nucleo familiare, alterando inevitabilmente gli equilibri emotivi che esistevano precedentemente.

Convivere con la malattia cronica impone dei cambiamenti fisici e psicologici progressivi e duraturi che richiedono una ristrutturazione psicologica rilevante, che consenta di adattarsi ad essa. Questo significa riorganizzare se stessi e la vita familiare, sociale e lavorativa. Questo nuovo e necessario assestamento è un processo che richiede inevitabilmente un certo periodo di tempo.

Un sostegno psicologico mirato alla persona, che può coinvolgere eventualmente anche il partner o la famiglia, risulta molto utile per trovare le risorse individuali, familiari e sociali necessarie al fine di fronteggiare nel migliore dei modi l’evento stressante e costruire un nuovo equilibrio funzionale per la persona e il suo nucleo familiare. Durante gli incontri è possibile utilizzare tecniche di rilassamento per aiutare la persona a ridurre sintomi di ansia e distress. Imparando alcuni esercizi da riprodurre anche a casa, l’individuo sarà in grado di esercitare un migliore controllo sul proprio corpo e sulla propria mente.


Depressione post partum: parliamone!

La nascita di un figlio desiderato, solitamente, è vissuta come un momento di grande gioia da parte di tutta la famiglia. Non dobbiamo dimenticare, però, che l’arrivo di un bambino comporta inevitabilmente dei cambiamenti nella coppia e prevede l’acquisizione del nuovo ruolo genitoriale.

Nei giorni successivi al parto non sorprende che la mamma possa sentirsi stanca, triste, incline al pianto e addirittura inadeguata nei confronti dei nuovi ed impegnativi compiti che la attendono. In questo caso si parla di “baby blues”, un lieve stato depressivo, temporaneo e senza nessuna conseguenza importante. Questo disturbo può durare qualche giorno e di solito scompare entro la seconda settimana o comunque entro il primo mese. Si tratta di uno stato transitorio, dovuto alla stanchezza e ai cambiamenti ormonali, e non necessita di alcun trattamento specifico.

La “depressione post partum” merita invece un approfondimento. Questo tipo di disturbo compare entro i dodici mesi successivi al parto, più frequentemente tra le quattro e le sei settimane. Di solito si sviluppa gradualmente, persistendo anche per diversi mesi. Si manifesta più comunemente con i seguenti sintomi: tristezza e pianto durante l’arco della giornata, mancanza di energie, improvvisi cambiamenti di umore, disinteresse per il bambino o paura di potergli fare del male, insonnia o sonnolenza eccessiva, inappetenza, perdita di piacere o interesse in qualsiasi attività quotidiana.

E’ fondamentale in questi casi che la donna venga sostenuta dal compagno e dalla famiglia per affrontare questo momento particolare che impone inevitabilmente dei grandi cambiamenti e delle notevoli fatiche nella gestione del nuovo arrivato.

Se l’aiuto dei familiari non risultasse sufficiente, un percorso di sostegno psicologico rivolto alla mamma e/o alla coppia può rivelarsi estremamente utile per superare lo stato depressivo e ritrovare stima, sicurezza e risorse per far fronte a questa nuova e impegnativa fase del ciclo vitale.


Superare un lutto

Per lutto non si intende soltanto la perdita fisica di una persona a noi cara, bensì una qualsiasi perdita che ci tocca profondamente. La fine di una relazione, la perdita del lavoro, oppure la perdita della propria salute con la scoperta di una malattia importante, sono tutti eventi che possono procurarci dolore e sofferenza, con un conseguente abbassamento del tono dell’umore.

Secondo Kubler-Ross, l’elaborazione di un lutto richiede il superamento di 5 fasi: negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione. Ogni individuo affronta queste fasi a suo modo, con i suoi tempi e seguendo anche un ordine diverso, ma che alla fine deve condurre sempre al superamento.

Un sostegno psicologico mirato all’elaborazione del lutto può costituire un aiuto prezioso per la persona e la sua famiglia. L’obiettivo è quello di accompagnare l’individuo alla ricerca di un nuovo equilibrio funzionale per se stesso e per il contesto in cui vive.


Stress: sopravvivere si può!

Lo stress è una risposta non specifica dell’organismo a una richiesta dell’ambiente che noi valutiamo come difficile da soddisfare. Non dobbiamo pensare, però, che lo stress abbia soltanto una valenza negativa. C’è un motivo se la natura ci ha fornito una risposta di questo tipo che ci rende più vigili e reattivi.

E’ bene distinguere tra stress positivo o eustress che riguarda un’esperienza limitata nel tempo che riteniamo di poter affrontare e controllare (es. un esame) e stress negativo o distress, che rappresenta invece un’esperienza prolungata o ricorrente di cui manca il senso di controllo e padronanza (es. la scoperta di una malattia invalidante).

Il persistere nel tempo di più eventi stressanti può portare al superamento della cosiddetta soglia critica oltre la quale l’organismo non riesce più a difendersi e la naturale capacità di adattarsi viene a mancare. E’ in questo momento che si abbassano le difese immunitarie e possiamo diventare più vulnerabili a patologie di tipo fisico, ma anche psicologico. Non dobbiamo dimenticare che mente e corpo non sono due entità separate, anzi, sono estremamente collegate tra loro.

Esistono strategie per affrontare efficacemente gli stressors che ci mettono sempre più alla prova oggigiorno ed è possibile ricorrere anche ad esercizi di rilassamento psico-corporeo per ridurre i sintomi del distress. Concedersi uno spazio di ascolto e confronto con un professionista, può rivelarsi utile per riappropriarsi del proprio benessere e migliorare la propria salute, trovando la strategia più adatta a noi!


Problematiche di coppia

L’amore secondo Sternberg dovrebbe avere tre componenti: passione, intimità e impegno. Nel corso della vita questi ingredienti possono cambiare il loro dosaggio, ma è auspicabile tuttavia che rimangano sempre presenti. Spesso però la vita mette più di una volta alla prova una coppia, rischiando di compromettere quelle risorse positive su cui i membri avevano sempre fatto affidamento e che erano sempre risultate sufficienti per affrontare le piccole sfide quotidiane. Oppure una difficoltà può far emergere l’inadeguatezza delle risorse della coppia o addirittura la loro totale mancanza.

I problemi più comuni che di solito vengono riscontrati riguardano: una comunicazione inefficace tra i partner, la mancanza di condivisione del progetto comune iniziale, l’incapacità di accettare certe caratteristiche dell’altro che all’inizio si riuscivano a tollerare, difficoltà sessuali, tradimento, lutto, malattia, problemi nella gestione dei figli o nel ritrovarsi come coppia coniugale dopo tanti anni trascorsi a fare i genitori.

Una terapia di coppia può essere di aiuto per capire se ci sono ancora le condizioni necessarie per continuare a investire nel rapporto e come poterlo migliorare, oppure se è meglio procedere verso una separazione sana.

Utilizzando un indirizzo terapeutico di tipo sistemico-relazionale è possibile lavorare sul rapporto tra i partner non soltanto tramite il colloquio, ma anche attraverso esperienze significative che non prevedono l’uso della parola.


Supporto sociale: una risorsa per la salute

Da molte ricerche è emersa la stretta relazione che il benessere e la salute hanno con il sostegno sociale. Il termine “supporto sociale” è stato definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e cure, di essere stimati e apprezzati e di far parte di una rete di comunicazione e di obbligo reciproco. Si riferisce inoltre ad un numero di differenti aspetti di relazioni sociali; per prima cosa può essere definito in termini di quantità di relazioni sociali e di integrazione, secondariamente può essere espresso in termini di struttura delle relazioni sociali di una persona, comunemente nota come rete sociale. Infine il supporto sociale è più comunemente definito come la qualità del contenuto delle relazioni, così come il grado con cui le relazioni sociali forniscono supporto emotivo, comprensione, cura, informazioni, aiuto pratico e strumentale.

La relazione tra sostegno sociale e salute può essere sia diretta sia indiretta; il supporto sociale può incrementare direttamente il nostro senso di controllo sull’ambiente, mentre indirettamente può tamponare gli effetti negativi degli eventi di vita stressanti, favorendo lo sviluppo di adeguate strategie di fronteggiamento. Gli eventi di vita stressanti da soli hanno un effetto nocivo sul benessere della persona, in assenza di un adeguato ambiente sociale. Reti sociali povere e un supporto sociale inadeguato agiscono come stressors e contribuiscono a deteriorare la salute, mentre, al contrario reti sociali estese e un soddisfacente supporto sociale migliorano lo stato di benessere.

Possiamo affermare che l’assenza di benessere psicologico renderebbe gli individui più vulnerabili alle malattie e agli eventi stressanti, ma la presenza di una relazione positiva con persone significative è una delle variabili che può costituire un fattore protettivo per la salute ed il benessere dell’individuo.