Sessualità nella terza età

Grazie all’aiuto della farmacologia e ad una sempre maggiore apertura culturale verso la sessualità nella terza età, abbiamo assistito ad un incremento dagli anni ’70 ad oggi, di donne e uomini ultrasettantenni coniugati sessualmente attivi, anche se il dato più interessante riguarda l’aumento dei non coniugati: il numero degli uomini ultrasettantenni sessualmente attivi è passato dal 30% del 1970 al 55% del 2008, mentre il numero delle donne sessualmente attive è passato da un esiguo 1% al 15%.

Generalmente, la riduzione (o cessazione) dell’attività sessuale è per lo più causata da fattori psicologici e sociali, che non da problematiche fisiche e biologiche. Tuttavia la possibile modificazione della risposta genitale non comporta anche la scomparsa del bisogno affettivo o della vita sessuale. Nell’anziano si manifesta una sessualità diversa, che privilegia gli aspetti affettivi, andando oltre la dimostrazione della performance; infatti, rispetto al raggiungimento dell’orgasmo, alla frequenza e all’intensità del rapporto, vengono messi in risalto il bisogno di vicinanza e la necessità di sentirsi desiderati e apprezzati.

Superata la fase critica di accettazione dei cambiamenti, trovato un nuovo equilibrio acquisendo nuovi ruoli (pensionamento, nonnità..), la sessualità della coppia può godere di maggiore libertà, poiché non è più necessario alcun espediente contraccettivo, aumenta il tempo libero e gli spazi fruibili per dedicarsi allo scambio affettivo.

La maturazione personale porta l’anziano a vivere la pienezza della sessualità, esplorando quest’ultima con molta più consapevolezza, compensando la diminuzione delle spinte ormonali con il desiderio e l’unione emotiva.


Invecchiamento sano: istruzioni per l’uso

Non esiste un criterio biologico, fisiologico, psichico o cognitivo per definire l’anzianità, esiste solo una convenzione universale che ha stabilito l’inizio della terza età con il pensionamento che avviene, di solito, intorno ai 65 anni.

L’invecchiamento non deve essere visto come una condizione statica, solitamente negativa, che si imbatte sull’uomo superati i 60 anni, ma come un processo di cambiamento (come ne esistono diversi nel corso della vita) delle funzioni fisiche, biologiche, psichiche e sociali che possono portare ad alterazioni dello stato funzionale. Queste modificazioni riguardano l’apparato cardiovascolare, muscolo-scheletrico, respiratorio, urinario, il sistema nervoso centrale, nonché la sfera sessuale. Tra i disturbi più frequenti che colpiscono l’anziano troviamo deficit attentivi, di memoria, di apprendimento, alterazioni nell’equilibrio e nella deambulazione, ridotta elasticità muscolare, diminuzione della capacità vescicale, riduzione della forza e della resistenza dei muscoli respiratori, difficoltà sessuali, disturbi dell’umore, solo per citarne alcuni.

Tuttavia è indispensabile aggiungere che fattori ambientali, sociali e individuali giocano un ruolo importante nell’influenzare la variabilità di queste alterazioni. La personalità individuale e le esperienze familiari, lavorative e sociali, che ciascuno di noi compie nell’arco della vita, preparano l’individuo ad affrontare in maniera diversa questa nuova fase del ciclo vitale.

Come ho scritto all’inizio, l’invecchiamento è un processo evolutivo che implica cambiamenti fisici e psichici che condizionano la capacità della persona di adattarsi all’ambiente perciò proprio le risorse individuali e sociali, che ognuno di noi possiede, costituiscono un’importante chiave d’accesso per l’accettazione positiva di se stessi e della propria vita nella cosiddetta terza età. Il progressivo allungamento dell’aspettativa di vita e il mantenimento di comportamenti sani durante l’intero ciclo vitale aiutano, senz’altro, a vivere la vecchiaia anziché subirla; ecco perché è fondamentale mantenersi fisicamente e socialmente attivi, curare la propria persona, continuare a coltivare vecchi e nuovi interessi, conservare e ampliare i nostri legami interpersonali.


A proposito di generazione “iperconnessa”…

Di seguito un estratto della mia intervista per il settimanale “La Vita” della diocesi di Pistoia.

Le generazioni di oggi sono nate con lo smartphone, tuttavia anche le generazioni più vecchie hanno imparato ad usare internet e tutto ciò che offre: informazione, servizi di vario genere, divertimento, reti sociali… Siamo tutti iperconnessi, chi più chi meno, questo non è di per sé una cosa negativa.

Decenni fa il telefono fisso riduceva le uscite per incontrarsi, i fumetti erano visti come oggetto di distrazione dai “veri” libri che erano invece sinonimo di cultura, i primi videogiochi rudimentali distraevano i ragazzini dai compiti e li tenevano un po’ più in casa.

Il mondo è in costante cambiamento, negli ultimi anni l’evoluzione digitale è stata sicuramente molto veloce e travolgente, probabilmente non ci ha dato tempo sufficiente per poterci abituare a gestire le infinite potenzialità (positive e negative) che internet offre.

Quello che serve è un’educazione alla digitalizzazione: abusare di tablet e telefoni con bambini molto piccoli come fossero delle “tate digitali” sicuramente non incentiva i piccoli a scoprire il mondo esterno, a imparare la manualità, le attività di socializzazione all’aria aperta con i coetanei.

Come per tutte le cose ci vuole il giusto dosaggio, in questo caso spetta al genitore trovarlo e concedere ai propri figli la possibilità di scoprire il mondo in cui vivono che non coincide soltanto con quello digitale. Per fare questo però, è necessario che il genitore per primo dia il buon esempio staccandosi dallo smartphone o dal computer proponendo attività ludiche e culturali da poter fare con tutta la famiglia. Un altro aspetto importante dell’educazione digitale riguarda la supervisione di bambini e adolescenti, mettendoli a conoscenza dei pericoli che si possono celare in rete e mantenendo con loro sempre un dialogo aperto e sincero per incentivare un rapporto di fiducia in cui il ragazzo si senta sicuro di poter confidare le proprie difficoltà o i propri errori, senza sentirsi giudicato o meno amato.

Anche gli insegnanti dovrebbero affiancare le famiglie in questo difficile compito di educare bambini e giovani a un uso consapevole di internet, con tutte le insidie che questo strumento può nascondere, ma anche con tutte le possibilità che può offrire in termini di servizi, apprendimenti e crescita.